Agorafobia: la migliore amica del panico

agorafobia

L’agorafobia* è la migliore amica del disturbo di panico perché di solito lo accompagna. Raramente si osserva da sola, e anzi pare che il suo esordio sia precedente a quello del disturbo di panico. L’agorafobia nasce dalla paura, e dal conseguente evitamento, di alcune situazioni tipiche. Le situazioni temute ed evitate sono di diverso tipo: ristoranti, centri commerciali, autostrade… Molte persone non riescono per esempio ad andare in chiesa, ad assistere alla messa.

Cos’hanno in comunque queste situazioni, apparentemente molto diverse tra loro? Sono situazioni da cui sarebbe difficile, pericoloso o imbarazzante, scappare in caso di attacco di panico o di altri sintomi invalidanti o imbarazzi (ad esempio, il tremore nella malattia di Parkinson o i rumori intestinali nella sindrome del colon irritabile). Se siamo in un ristorante, o al cinema, o in chiesa, e ci alzassimo per uscire, tutti ci osserverebbero. Se siamo in un centro commerciale potremmo non trovare l’uscita, se siamo in autostrada, peggio ancora se siamo imbottigliati nel traffico, non possiamo fermarci o uscire quando lo decidiamo noi. Tutte queste situazioni vengono quindi evitate.

Gli evitamenti però hanno un effetto positivo sul breve termine, perché nell’immediato fanno diminuire l’ansia, e un effetto negativo sul lungo termine: con il tempo infatti non solo non risolvono il problema, ma lo peggiorano perché tendono ad aumentare sempre di più. Quindi magari all’inizio evito il centro commerciale il sabato pomeriggio perché è molto affollato, poi inizio ad evitarlo anche nei giorni in cui c’è meno gente, e dopo un po’ preferisco mandare qualcuno a fare la spesa al posto mio. A questo punto la mia vita è completamente condizionata dal disturbo, vivo chiuso in casa e la depressione è dietro l’angolo.

Il trattamento dell’agorafobia, come quello della maggior parte dei disturbi d’ansia, si basa quindi sull’esposizione alle situazioni temute. In psicoterapia di solito si lavora prima sull’aspetto cognitivo, cioè si ragiona sulle situazioni temute e su quanto siano effettivamente pericolose, e poi sull’aspetto comportamentale, cioè si ricominciano a fare tutte le cose che nel tempo sono state abbandonate, con l’obiettivo di tornare a vivere.

 

 

* Ecco i criteri necessari per fare la diagnosi di agorafobia secondo il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – quinta edizione 2013; American Psychiatric Association):

  1. Paura o ansia marcate relative a due (o più) delle seguenti cinque situazioni:
    1. Utilizzo dei trasporti pubblici (per es., automobili, bus, treni, navi, aerei).
    2. Trovarsi in spazi aperti (per es., parcheggi, mercati, ponti).
    3. Trovarsi in spazi chiusi (per es., negozi, teatri, cinema)
    4. Stare in fila oppure tra la folla.
    5. Essere fuori casa da soli.
  2. L’individuo teme o evita queste situazione a causa di pensieri legati al fatto che potrebbe essere difficile fuggire oppure che potrebbe non essere disponibile soccorso nell’eventualità che si sviluppino sintomi simili al panico o altri sintomi invalidanti o imbarazzanti (per es., negli anziani paura di cadere, paura dell’incontinenza).
  3. La situazione agorafobica provoca quasi sempre paura o ansia.
  4. Le situazioni agorafobiche vengono attivamente evitate, o richiedono la presenza di un accompagnatore, o vengono sopportate con paura o ansia intense.
  5. La paura o l’ansia sono sproporzionate rispetto al reale pericolo posto dalla situazione agorafobica e al contesto socioculturale.
  6. La paura, l’ansia o l’evitamento sono persistenti, e durato tipicamente 6 mesi o più.
  7. La paura, l’ansia o l’evitamento causano disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti.
  8. Se è presente un’altra condizione medica (per es., sindrome dell’intestino irritabile, malattia di Parkinson), la paura, l’ansia o l’evitamento sono chiaramente eccessivi.
  9. La paura, l’ansia o l’evitamento non sono meglio spiegati dai sintomi di un altro disturbo mentale.