Francesca Mancini

Ho sempre saputo che l’essere umano, in tutte le sue sfaccettature, fosse la cosa che più mi appassionava, ma la decisione di iscrivermi a Psicologia è maturata definitivamente durante l’ultimo anno di liceo scientifico dopo la lettura de “La Coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Tuttavia, all’università sono stata attratta dall’aspetto più “scientifico” della psicologia, in particolare mi sono interessata alla neuropsicologia e alle neuroscienze in generale, perché mi sembravano più tangibili e concrete di altri ambiti psicologici: scoprire le basi neurali dei processi cognitivi come attenzione, memoria o linguaggio mi affascinava. Ho continuato poi il mio percorso formativo svolgendo un dottorato di ricerca in neuroscienze e lavorando per diversi anni presso l’”Ospedale Riabilitativo” di Zevio (VR) dove ho avuto l’opportunità di seguire l’”Ambulatorio di Neuropsicologia”.

Agli anni della ricerca devo il raggiungimento di una forma mentis, di un modo di ragionare che mi è stato utile, allora come oggi, nello svolgimento del mio lavoro: in particolare, mi ha dato la possibilità di affinare la capacità di ragionare per passaggi logici, di pianificare, di costruire un progetto scientifico o riabilitativo. Alla ricerca devo riconoscere anche il merito di avermi obbligata a mettermi in gioco permettendomi di affrontare quella sensazione di inadeguatezza che mi ero portata dietro per tanti anni e che oggi ho imparato a gestire.

Tuttavia, sentivo che mancava qualcosa, avvertivo la necessità di riavvicinarmi al lato più “umano” dell’uomo: quello delle emozioni e delle relazioni. Mi mancava il sentirmi utile agli altri, il fare qualcosa che potesse farli stare meglio. Di conseguenza, ho preso la decisione di formarmi come psicoterapeuta in un ambito, quello cognitivo-comportamentale, che sento più vicino ai principi del metodo scientifico che mi appartiene, ma che nello stesso tempo mi permette di lavorare con le emozioni, in un mondo che troppo spesso non le legittima o addirittura le rifiuta.

Oggi fare questo lavoro mi fa sentire una privilegiata, mi sento onorata quando qualcuno si affida a me al punto da farmi entrare nella sua vita condividendo le proprie emozioni e pensieri. Mi impressiona sempre riconoscere la mia sofferenza, passata o presente, nella sofferenza delle persone che si rivolgono a me, comprendendo sempre più profondamente quanto possano essere simili e quanto questa sofferenza faccia normalmente parte della condizione umana anche se a volte ci spaventa. Il mio interesse per l’essere umano continua ad essere presente anche al di fuori dell’ambito lavorativo, infatti sono interessata a come egli sia in grado di esprimere il proprio mondo interiore in modi sorprendenti, così sono incuriosita dalle varie forme di espressione artistica come la letteratura, il cinema, i viaggi, il teatro e la fotografia. In fondo, l’arte e la psicoterapia hanno molto in comune: entrambe sottolineano come, a volte, non sia importante la realtà, ma come noi la interpretiamo.